La toeletta delle antiche Romane

Qualche giorno fa, qualcuno mi chiese se conoscessimo i rituali di toelettatura e cosmesi delle antiche Romane. La risposta è ovviamente sì, soprattutto per quel che riguarda i ceti alti e l'aristocrazia. I libri in merito sono moltissimi e i siti web si sprecano, ma la fonte migliore è sempre quella cartacea e rintracciabile (Wikipedia offre molte informazioni, ma non sempre è possibile risalire alla bibliografia); userò quindi diverse fonti, prima tra tutte "La vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'impero" di Jérôme Carcopino, un volume vecchio (la prima edizione risale al 1941...) ma, a me mio umile dire, una pietra miliare della storiografia del settore. E' un libro che consiglio vivamente di leggere sebbene possa risultare un po' pesantuccio, si trova comodamente in biblioteca o in edizioni economiche in librerie molto fornite (il mio lo trovai al mercatino dell'usato e lo pagai soltanto 1€, me ne tornai a casa molto felice quel giorno ahah). La seconda sarà un volume molto più recente, ma molto carino, scritto dal famosissimo Alberto Angela. 

Gli antichi Romani sono noti per l'attenzione dedicata alla cura e alla bellezza del corpo, tra terme ed esercizi fisici; la toeletta mattutina delle donne non era così diversa da quella degli uomini, comprendendo, tra l'altro, un'accurata depilazione della padrona. Una patrizia dell'epoca non poteva realizzare una toeletta così accurata da sola e si faceva assistere da delle apposite schiave chiamate ornatrices: dopo aver effettuato delle abluzioni per la propria igiene personale (alle terme o in casa propria  se era abbastanza ricca da potersi permettere una vasca), la signora si vestiva e passava subito ad acconciare i capelli, il che non era compito da poco data la complicata struttura delle acconciature d'età imperiale (Carcopino sottolinea che le donne avessero abbandonato la frugale semplicità del loro aspetto già in età repubblicana), ricorrendo a parrucche e trecce posticce se necessario. Essere una ornatrix non era semplice sia per le mansioni da ricoprire sia  per i caratteri spesso impossibili da soddisfare delle matrone, che non esitavano a batterle se il risultato non era soddisfacente. Dopo l'acconciatura e la depilazione (Carcopino non specifica se con pinzette oppure rasoi, ma si è più propensi a pensare alle pinzette dato che era molto rischioso ricorrere ai rasoi), era la volta del trucco: tutto l'occorrente era riposto in vasetti di vetro, piccole boccette, alabastri, pettini d'osso, tutti collocati in uno scrigno che la matrona riponeva sempre nell'armadio della sua stanza nuziale e lo portava con sé ogni qualvolta si recava al bagno. Il look di queste donne a noi può apparire un po' insolito, ma in fondo i colori erano gli stessi di oggi: nero attorno all'occhio e sulle ciglia (ottenute con la fuliggine o con un composto a base di formiche bruciate), rosso sulle labbra e le gote per enfatizzare gli zigomi e donare un aspetto sano (che poi molto sano non era, dato che l'ingrediente base dei rossetti era il minio), bianco sulla fronte e sulle braccia per ottenere un incarnato marmoreo che tanto piaceva ai contemporanei (più una donna aveva la pelle chiara e più rispecchiava la propria posizione altolocata, non essendo costretta ad esporsi al sole per lavorare). Il problema di questi cosmetici era la loro composizione, dato che molti di essi contenevano piombo, all'epoca molto utilizzato, il che provocava danni permanenti all'epidermide, e il loro profumo spesso repellente all'olfatto maschile. La biacca era utilizzata molto come fondotinta essendo un ottimo pigmento illuminante, ma era davvero dannoso, andando ad ostruire i pori della pelle. Anche i capelli erano spesso schiariti utilizzando impacchi e tinture spesso dannose, che seccavano le chiome. 
La pelle della matrona doveva essere perfetta, senza rughe e senza macchie, e proprio per questo si ricorreva a impacchi spesso fantasiosi, a base di finocchio oppure fave o latte d'asina (noto per le proprietà idratanti). Alcuni di questi impacchi provocavano talmente tanto ribrezzo negli uomini da dover essere applicati da sole, in camera, quando i mariti erano assenti. Dopo tutto questo lungo iter, era giunta l'ora di vestirsi e scegliere i gioielli, come orecchini, anelli, bracciali e cavigliere. L'abbigliamento non era molto diverso da quello maschile nella forma, quanto piuttosto nei colori e nei tessuti: le donne propendevano per tessuti leggeri e sinuosi, che esaltassero le forme del corpo, e dai colori vivaci; di base tutte le donne romane indossavano una tunica lunga fino ai piedi, abbinata ad un mantello molto lungo di forma rettangolare, la palla, che veniva tirato sul capo per proteggersi dal sole o dal freddo. E' importante sottolineare che la palla, come la stola, non era un capo da sfoggiare alla moda, ma un capo di uso quotidiano, che serviva anche a far riconoscere la condizione sociale di una donna: nessuna donna sposata si sarebbe mai mostrata in pubblico senza quella addosso. Alcune portavano anche dei parasoli per proteggersi dalla calura e mantenere la pelle candida, ma tali ombrelli non si chiudevano ed erano inutilizzabili in caso di pioggia.

Siete ancora convinti che questa civiltà sia tanto diversa dalla nostra, così attenta all'apparire ed alla ricerca assoluta della bellezza? ;)

Fonti:
Carcopino, Jérôme "La vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'Impero", Laterza, Milano, 1993
Angela, Alberto "Una giornata nell'antica Roma. Vita quotidiana, segreti, curiosità", Mondadori, Milano, 2007




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