La figura femminile nel mondo bizantino (seconda parte)

Le donne avevano, dunque, poche possibilità di uscire dalle pareti domestiche e di migliorare la loro condizione, soprattutto se di umile estrazione. La bellezza poteva, senza dubbio, essere un ottimo alleato ma a patto che rispecchiasse quella interiore, cioè dell'anima: il corpo umano era concepito come un'opera d'arte del divino e abbellirlo con gioielli e cosmetici fino a stravolgerlo avrebbe significato tentare di cambiare ciò he che il Signore aveva creato. 
I cosmetici non erano dunque molto apprezzati, come in età romana: un uso eccessivo stravolgeva la bellezza della donna, il cui trucco migliore e più ambito era il rossore delle guance dato dalla pudicitia, dal pudore; il trucco evocava la figura della prostituta, della donna costretta ad enfatizzare il proprio aspetto per vendersi. Tuttavia, i gioielli non erano così criticati e un uso modesto fungeva da perfetto ornamento. C'è, tuttavia, da segnalare il paradosso di questa concezione della bellezza: la donna che doveva assumere ad una funzione pubblica, come l'imperatrice, e che trascurava il proprio aspetto rifiutando qualsiasi tipo di gioiello e belletto era soggetta a critiche spesso meschine, come nel caso di Berta di Sulzbach. Nata tedesca, fu data in sposa all'imperatore Manuele I Comneno per rinsaldare un'alleanza politica in un periodo in cui, a Bisanzio, l'Occidente non era ben visto; i suoi natali stranieri caratterizzano moltissimo la visione che i bizantini avevano di lei e il suo aspetto trascurato, volutamente pio e pudico, suscitò parecchie critiche, poiché non faceva che allontanare il focoso Manuele. Le nobildonne, dunque, erano tenute a curarsi ed abbellirsi, ovviamente nei limiti del decoro.

L'imperatrice Irene

Le donne comuni potevano anche non seguire questo dettame. Per loro la vita era scandita dal matrimonio, dalla cura della casa e dei figli, e dal lavoro, solitamente quello tessile. Lo studio, la filosofia, l'economia erano destinati agli uomini. La donna bizantina era dunque una donna molto simile a quella occidentale di età medioevale, preclusa allo studio e relegata ad una dimensione prettamente casalinga. Le sue virtù più decantate ed apprezzate erano il silenzio (la donna che parlava poco era descritta come un gran regalo per un marito), il timore di Dio, la castità, l'umiltà, il decoro, il senso della misura. A proposito del pudore e della castità, è bene fare una precisazione: come conciliare l'ideale di donna pura, vergine, con la necessità di figli e della riproduzione? La verginità era l'unica via di libertà per la donna, la vergine non dipende da nessun uomo tranne che il Signore, non sporca il suo corpo: la donna costretta a sposarsi ed a procreare può, però, mantenersi casta e pura conducendo una vita semplice, servendo e guidando il marito verso la retta via. I coniugi sono un unico essere vivente, dove il marito conduce la donna come l'anima guida il corpo. Se Gesù, dunque, aveva descritto uomo e donna come uguali, ciò non si riflette negli scritti dei Padri della Chiesa, che da sempre predicarono la superiorità maschile. 
La donna, in conclusione, risplende di luce e di virtù ma mai quanto la luce del sole, caratteristica dell'uomo. La donna è infatti la luna, che brilla e risplende di luce riflessa, quella appunto del sole.

Fonti: Eva Nardi, "Nè sole, né luna. L'immagine femminile nella Bisanzio dei secoli XI e XII", Olschki, 2002




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