Recensione del libro "Il centurione di Augusto" di Guido Cervo

Che dire... Guido Cervo non ha bisogno di molte presentazioni per chi, come me, è appassionata di romanzi storici. Il primo romanzo che ho letto di questo autore è stato "Il centurione di Augusto", preso in biblioteca per curiosità e finito in soli tre giorni. La stessa vicenda non ha bisogno di troppi giri di parole: il massacro di Teutoburgo avvenuto nel 9 d.C., altro tema della storia romana a me assai noto. Era questo infatti l'argomento che volevo trattare nella mia discussione finale, poi accantonato su consiglio del docente dato che si è da poco festeggiato il bimillenario della battaglia e fiumi di libri sono usciti a tal proposito. Pazienza, ve ne parlerò adesso.
La sconfitta di Teutoburgo rappresenta assieme  a quelle di Canne e Adrianopoli uno dei peggiori massacri subiti dall'esercito romano. Tre intere legioni andarono perdute, e la leggenda vuole che Augusto fu profondamente sconvolto dalla notizia, tanto da ripetere incessantemente: "Quintili Vare, legiones redde!" (Quintilio Varo, rendimi le mie legioni!). Resta che la notizia della sconfitta ebbe un'eco vastissima in tutto l'impero. Un lugubre presagio di Adrianopoli? Forse.

Il sito della battaglia è l'attuale Karlkriese, nella Germania settentrionale. Un posto fatto di foreste e gole profonde, nelle quali i romani furono attirati dall'imboscata organizzata dalla coalizione di tribù germaniche. La sconfitta sancì la fine dell'espansione romana oltre il Reno per i successivi 400 anni e sancì l'inettitudine di Publio Quintilio Varo, governatore della provincia di Siria, come generale; Varo commise l'errore di trattare le tribù germaniche come supplici di Roma, anziché un popolo fiero e con proprie caratteristiche. Sottovalutò, insomma, il suo avversario. Il tutto fu frutto di un'abile piano organizzato da Arminio, principe dei Cherusci, che Varo considerava alleato di Roma: a poco valsero i moniti di Segeste, il futuro suocero di Arminio, affinché i principali seguaci di costui fossero incatenati. 

Il piano si svolse durante la marca delle legioni verso gli accampamenti invernali. Il percorso delle truppe fu deviato in una zona paludosa, bloccato da un terrapieno costruito dagli uomini di Arminio. I soldati, rallentati dal maltempo e dai numerosi carri di donne e bambini che si portavano appresso, furono sorpresi durante la marcia e colti alla sprovvista. La battaglia imperversò per tre giorni, sotto la pioggia. Lo stesso Varo perì suicida, e  la sua testa fu inviata come trofeo al sovrano dei Marcomanni. Alla notizia della morte del generale, alcuni soldati preferirono uccidersi anziché cadere nelle mani del nemico. Ma non è tutto. Pochi anni dopo Germanico, figlio di Druso, effettuò una nuova campagna in Germania per sedare i ribelli, e attraversò la selva osservando con orrore e sgomento le ossa dei soldati Romani disperse, simbolo di cadaveri a cui non era stata data giusta sepoltura.

Il libro di Cervo si colloca in questo contesto. Il centurione Decio Murrio Calidio riesce a scampare al massacro, ma altrettanto fortunati non saranno i suoi compagni, come la povera Faidia, una giovane prostituta violentata dai Germani per simboleggiare la loro vittoria. Non c'è altro da dire sulla trama, poiché il romanzo è molto breve e racconta gli avvenimenti senza troppi giri di parole. Calidio si salverà, ma ciò non cambierà l'esito della battaglia.

Lo stile di scrittura di Cervo è molto fluido e chiaro, si tratta di un romanzo di lettura relativamente facile che mi sento di consigliare soprattutto a chi vuole saperne di più su  questa battaglia. Alla luce dei miei studi anche recenti, mi sia permessa una valutazione:  c'è un motivo se una sconfitta avviene, e il motivo che accumuna Teutoburgo e Adrianopoli è la presunzione di chi ha condotto una campagna militare errata sin dal principio. Varo sapeva della congiura, eppure non fece nulla per evitarla. In una condizione ambientale come quella della selva, applicare le nozioni militari basilari era pressoché impossibile. Stesso discorso ad Adrianopoli: Valente sottovalutò la massa dei Goti, era ansioso di emulare le imprese del giovane Graziano in Occidente, e la battaglia si svolse in un luogo arido e montuoso che rese difficoltose le normali manovre di attacco. Il crollo dell'ala sinistra dell'esercito per mano della cavalleria degli Alani fece il resto.
Insomma, in entrambi in casi non ci troviamo di fronte ad un genio militare nemico imbattibile (i Goti) o ad un eccelso generale (Arminio), quanto piuttosto ad una serie di circostanze sfortunate che portarono alla sconfitta.

Voto: 8/10


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